In carcere i detenuti ricevono con i droni i cellullari e non solo
di Nicola Mangialardi
All’indomani dell’esecuzione delle sette ordinanze di custodia cautelare, delle otto messe che hanno smantellato il clan mafioso “Velluto”, che opera a cavallo dei quartieri Carrassi e san Pasquale e in attesa di assicurare alla giustizia l’ancora irreperibile 46enne Carlo Biancofiore, tiene banco la questione legata all’ingresso dall’esterno di telefonini nelle carceri. A lanciare l’allarme era stata la Procura Distrettuale Antimafia di Bari e Foggia, attraverso le parole del Procuratore Capo, Roberto Rossi, del suo aggiunto, Francesco Giannella e del pm Fabio Buquicchio. Loro avevano evidenziato come all’interno degli istituti di pena, molti detenuti continuano a dettare legge utilizzando cellulari arrivati all’interno o attraverso la collaborazione di personale penitenziario infedele o, come sempre più spesso accade, attraverso l’uso di droni che consentono ai detenuti di approvvigionarsi di cellulari, droga e in alcuni casi armi. Sulla vicenda è intervenuto il sindacalista delle forze di polizia penitenziaria Domenico Mastrulli, presidente nazionale Con.a.i.p.pe., la confederazione autonoma italiana polizia penitenziaria. “Nel ringraziare la magistratura per il suo costante e proficuo operato, va detto che ormai nelle nostre carceri, da tempo, grazie alle nuove tecnologie entra di tutto e su questo non solo occorre effettuare una seria e approfondita riflessione che porti all’adozione dei conseguenti risolutivi provvedimenti. Ma in tal senso l’amministrazione penitenziaria nazionale non adotta alcun provvedimento che porti ad arginare e risolvere il problema. Se da un lato si possono e vengono perseguiti eventuali operatori infedeli, dall’altro nulla su fa per far fronte all’aspetto tecnologico, i droni, che consegnano di tuto ai detenuti. Occorrerebbe ripristinare la vigilanza armata sui perimetri degli istituti penitenziari, che da tempo sono stati aboliti, per rendere sicuri le 250 strutture penitenziarie italiane. Per far questo ci sono diversi modi. È vero che la polizia penitenziaria è sottodimensionata rispetto all’organico previsti di circa 22 mila unita e per riattivare la vigilanza perimetrale ci vorrebbero circa dieci mila unità. Ma per risolvere il problema basterebbe far rientrare in servizio le circa settemila unità di polizia penitenziaria distaccate all’esterno con compiti di scorte, addetti alle procure e agli uffici dell’amministrazione penitenziaria. A tutto ciò andrebbe valutata la possibilità di impiegare uomini dell’esercito nel servizio di vigilanza come fu fatti per l’operazione <>, attivando un nuovo protocollo di sorveglianza con apposite regole di ingaggio che potrebbe dar vita a una nuova operazione che si potrebbe chiamare <>. Sono queste misure che il Governo centrale da anni ignora e continua a ignorare dimostrando di non avere a cuore il benessere e la salvaguardia di oltre 64 mila detenuti e oltre 36 mila agenti di custodia. Basterebbe”, conclude Mastrulli, “dotare il nuovo servizio di vigilanza di apposite pistole per l’abbattimento dei droni per scrivere la parola fine a questo allarmante fenomeno. Ma il sistema Paese, attraverso le istituzioni preposte, sono pronte a raccogliere questa sfida nell’interesse collettivo della sicurezza pubblica? Perché se un detenuto continua a delinquere dall’interno del carcere che senso ha più la detenzione?”.