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Nessuno ha approfondito l’ipotesi della “Ford Puma” e Don Nicola D’Onghia ricorre in Cassazione

In attesa che, la settimana prossima, venga espletata della seconda fase degli esami irripetibili affidati ai carabinieri del Ris di Roma la vicenda giudiziaria del sacerdote accusato di omicidio stradale e omissione di soccorso approda nelle aule giudiziarie sulle rive del Tevere. Si discuterà, il prossimo 9 agosto nella capitale, in punto di diritto, il ricorso contro le misure cautelari presentato dal collegio difensivo del sacerdote accusato di aver ucciso, in incidente stradale la 32enne motociclista Fabiana Chiarappa la sera dello scorso 2 aprile, intorno alle 20,30 sulla strada statale 172 che collega Turi a Putignano. Sono sette le motivazioni dell’articolato ricorso per Cassazione che i difensori del 54enne don Nicola D’Onghia, gli avvocati Vita Mansueto e Federico Straziota, pongono all’attenzione dei togati romani del Palazzaccio. Per gli agguerriti legali del sacerdote eccepiscono, alla magistratura di terzo grado, “il mancato svolgimento dell’interrogatorio preventivo che renderebbe nullo il provvedimento impugnato per illegittima integrazione della motivazione del Gip sull’aspetto legato alla sussistenza del pericolo di inquinamento delle prove”. A questa prima eccezione il ricorso aggiunge come seconda motivazione la “manifesta illogicità della motivazione in relazione all’accertamento della causa di morte” che si baserebbe su quanto stabilito dalle perizie medico legali della Procura barese e di quella di parte dell’imputato. Ma come se non bastasse i magistrati capitolini dovranno esprimersi anche sulla “mancanza della motivazione in relazione alle censure sollevate in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro” a cui si aggiunge l’eccezione  legata alla “mancanza della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della fuga”. Per i difensori del presbitero non sarebbe logica neanche “la motivazione del provvedimento in merito alla mancata identificazione della conducente della “Ford Puma” transitata sul luogo dell’incidente” in senso opposto alla vittima pochi secondi dopo l’impatto della moto contro il muretto. Dalle telecamere di sorveglianza delle Cantine Coppi si vede e ascolta chiaramente che la donna al volante scende dall’auto impegnata in una conversazione telefonica con il suo cellulare e mentre ispeziona la parte sottostante il suo mezzo dice al suo interlocutore “come faccio a vedere se ho preso qualcosa?”. Eccezione questa che pone la questione dell’individuazione della responsabilità penale secondo il principio di “ogni oltre ragionevole dubbio”. A questa quinta eccezione i legali del parroco della chiesa di San Giovanni Battista di Turi pongono all’attenzione dei giudici di Cassazione le motivazioni addotte, per giustificare la sussistenza dell’esigenza cautelare, dal Tribunale del Riesame di Bari secondo il quale ci sarebbe stato “un disvalore dei fatti , posti in essere in dispregio di ogni regola di convivenza e dell’allarme sociale generato da simili condotte”. Un concetto che, sempre secondo la difesa del prete, cozzerebbe con il principio di attualità e concretezza del relativo pericolo quasi a voler stabilire che sottoponendo l’indagato all’obbligo di dimora nel suo paese d’origine, lì non possa commettere nuovamente il reato e in altri posti sì.