Il pisellino fa pipì a letto e il culetto prende schiaffi
“U acidd pisc u litt e u cul iav mazzat”, è un antico adagio popolare in vernacolo barese che sembra calzare a pennello e dirla tutta su alcune decisioni, forse, anche discutibili che la politica adotta per marcare una posizione. Il fatto riguardo la complessa situazione del conflitto mediorientale tra Israele e Hamas che sta mietendo, da quasi due anni, decine di migliaia di vittime tra il martoriato popolo palestinese. Nella più ampia insipienza politica e diplomatica mondiale si erge come un cavolo a merenda la posizione del Comune di Bari che ha chiesto e ottenuto formalmente dall’amministrazione della storica Fiera del Levante di estromettere tutti gli operatori israeliani. Una scelta, una decisione, un gesto che sembra avere nella forma e nella sostanza i tratti connotativi di un antisemitismo, in questo caso, politico amministrativo dalle reminiscenze storiche di un passato non certo inclusivo. Nella città di san Nicola il taumaturgo più venerato al mondo sia dalle culture di occidente che di oriente c’è chi decide di estromettere gli incolpevoli operatori commerciali di uno Stato i cui vertici stanno mattando un’altra popolazione limitrofa. Ma che scelta è questa? Punire l’organo che fa pipì penalizzando un altro? Una scelta che sa più di propagandismo spicciolo, populistico dal retaggio arcaico di pseudo detentori di una sotto cultura medioevale. Se qualcuno di questi signori, gli attuali soloni del demagogico pensiero della pancia, avesse visitato accuratamente questi posti, quei luoghi e conosciuto quelle genti avrebbe avuto modo di vedere come vivono in armonia le genti palestinesi con quelle israeliane, gli operatori commerciali dell’una e dell’altra parte che nulla hanno a che fare con le scelte e le azioni di un partito come quello di Hamas o del Likud. Ma la propaganda levantina dal DNA commerciale del bottegaio d’altri tempi ha prevalso sul buon senso, sulla conoscenza storico ed economica di quella parte del mondo dove, per chi crede, tutto nacque. Una scelta questa che penalizza un popolo che, per chi a visitato questi posti tantissime volte con l’occhio attento del viaggiatore antropologo, non c’entra nulla con le scelte politiche di una governance che neanche la comunità internazionale, islamica compresa, riesce a far ragionare. Ma la presunzione di una piccola amministrazione metropolitana italiana pensa di potersi sostituire al pensiero del mondo assumendo decisioni pubbliche, che coinvolgono storiche strutture pubbliche, che sono insensate e anacronistiche rispetto all’essenza del tempo. Un tempo e una storia che per questa gente ha viaggiato sui binari di una tratta che porta in una stazione morta. Morta nei valori, morta nella razionalità, morta nella conoscenza e, soprattutto, arrogante. Alzando barriere non si favoriscono i dialoghi e men che mai la pace. “Non di muri ma di ponti ha bisogno il mondo”, dichiarò Giovanni Paolo II quando nella primavera del 2002 il mondo venne a conoscenza della costruzione del muro di confine israeliano. Ma neanche queste parole, pronunciate da quel santo al quale la città di Bari e la Puglia intera ha dedicato il suo più importante aeroporto, hanno illuminato le menti di questi soloni dell’antisemitismo del terzo millennio del quale, forse, lo stesso potefice polacco si sarebbe vergognato.