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Donne-attiviste protestano in piazza a Kabul. I talebani le sfollano con bastonate e lacrimogeni

I talebani a Kabul  cancellano i cartelloni pubblicitari con le immagini di donne e  tante hanno accettato di coprirsi per evitare problemi,  non vanno più sole nei luoghi pubblici, ma sempre accompagnate con un uomo maggiorenne di famiglia. E’ l’inesorabile rassegnazione alla la legge religiosa, vista con  l’interpretazione oscurantista talebana.

Un nutrito gruppo di attiviste si è riversato nelle strade di Kabul per chiedere l’inclusione nel futuro governo dei talebani e il rispetto dei propri diritti. Il diritto al lavoro. All’istruzione. All’inclusione sociale e alla partecipazione al governo

L’emittente afghana Tolo News  documenta che la mobilitazione delle donne afghane si è conclusa con una serie di scontri e tafferugli. I talebani hanno fatto ricorso ai gas lacrimogeni per impedire l’avanzata del corteo femminile. Una fase in cui nella formazione del nuovo governo di Kabul gli integralisti insorti continuano impunemente a tenere le donne fuori dal processo di formazione del loro esecutivo, nel quale le donne «non potranno» avere ruoli di rilievo anche se i talebani da un lato, rispondono rassicurandole ufficialmente che non perderanno i lor diritti.  Dall’altro, tuttavia, sono altrettanto solerti nel ribadire che la sharia, la legge islamica, sarà una «linea rossa» dalla quale non intendono allontanarsi…

La direttrice esecutiva delle Nazioni Unite per le donne, Pramila Patten, ha avvertito  che l’incorporazione delle donne nella futura amministrazione sarà una «cartina di tornasole» per verificare il vero impegno dei talebani per i diritti e le libertà.

Come rileva opportunamente sulla sua pagina Facebook il capodelegazione di Fratelli d’Italia-Ecr al Parlamento europeo e responsabile Esteri del partito, Carlo Fidanza: «Viviamo con apprensione le ultime notizie che arrivano dal Panshir, la vallata inespugnabile dove i patrioti afghani respinsero prima i sovietici e poi i talebani. Stavolta pare che l’offensiva talebana stia per avere la meglio. Mentre la comunità internazionale abbandona il figlio del leggendario comandante Massoud e i suoi combattenti, i talebani impuniti compiono crimini di guerra. E il peggio deve ancora venire. Il primo vero corridoio umanitario serve lì: medicinali e viveri per gli afghani assediati dai talebani. E riflettori sulle donne, vittime che non vogliono rimanere in silenzio. E provano a protestare...

 «Non ci metteranno la museruola. Non ci chiuderanno in casa. Non siamo più le donne afghane di vent’anni fa». Lo gridano forte le giovani donne che  hanno cercato di marciare verso il palazzo presidenziale di Kabul. Una sessantina, ma unite e organizzate. I social e le emittenti locali le hanno riprese mentre sorridevano ai passanti, brandivano i loro cartelli. Per lo più col velo tradizionale sulla testa. Nessuna però col viso e coperto e certo non con il Burqa.

«I talebani ci aspettavano. Si erano preparati sin da venerdì. Hanno mandato la “Badri”, la brigata delle loro truppe scelte migliori. Dovevano disperderci rapidamente. Ma non ci sono riusciti. E hanno dovuto usare la forza»,  spiega per telefono una delle loro leader, Fawzia Wahdat, giovane attivista che non ha paura di postare in rete il suo viso con le dita della mano destra in segno di «v» e la determinazione a lottare. È figlia del nuovo Afghanistan: giornalista, è stata tra i giudici della Commissione elettorale incaricata di vagliare eventuali brogli. E da poco ha ottenuto la laurea in Legge: un curriculum di studi che senza dubbio la rafforza nella sua battaglia per la difesa dei diritti civili.

Le donne sono state  attaccate dai talebani a bastonate, con i lacrimogeni e gas urticanti. Le immagini di  ieri, verso mezzogiorno,  hanno fatto il giro del mondo. Si vedono loro che gridano i loro slogan. «Libertà. Libertà. Le donne devono poter essere anche ministre e avere ruoli di responsabilità. Non potrete costringersi a tacere», ripetevano. Una di loro è stata poi fotografata ferita, col sangue alla testa. Tante altre sono state spintonate. Tossivano e lacrimavano vistosamente, cercando di ripararsi naso e bocca con gli scialli. Un’altra manifestante, la 26enne Razia Barakzai, ha raccontato che i talebani le hanno «circondate» nei pressi del ministero delle Finanze, ancora lontane dal palazzo presidenziale. «Ci hanno fermate con la violenza, anche se la nostra manifestazione era del tutto pacifica», dice. Il loro movimento sta crescendo di giorno in giorno. Ieri manifestazioni analoghe si sono tenute a Herat e nella provincia di Nimroz.

«Abbiamo cominciato e non intendiamo fermarci. Cercheremo di mobilitarci ogni giorno, o comunque almeno un paio di volte la settimana, faremo presidi, senza tregua, in più località contemporaneamente. Vogliamo far sapere agli afghani che non è più il momento di subire senza reagire e cerchiamo la solidarietà internazionale. Tante tra noi sono pronte a mettersi in gioco, anche a pagare con la vita», aggiunge Fawzia. Al suo fianco c’erano anche alcuni uomini ieri mattina. Cittadini comuni, passanti, che volevano marciare solidali con le donne,  ma sono stati picchiati duramente. «A noi hanno spruzzato il gas negli occhi. Ma il ragazzo giovane che stava con me l’hanno manganellato duro. Un poliziotto gli ha strappato il cartello che brandiva e lo ha ridotto a brandelli».

Promettono che domani torneranno in piazza, magari con in tasca gli spicchi di limone da spruzzare sui fazzoletti per proteggersi dai gas.