CronacaItalia

Mafia e usura: tassi 5.400% nel Palermitano, 10 arresti

Dieci arresti (nove in carcere e uno ai domiciliari), altri 11 indagati a piede libero e il sequestro di una società, un locale commerciale adibito a laboratorio e relativo terreno e un bar-tavola calda di Villabate (Palermo) con annesso chiosco, per un valore complessivo di circa 500 mila euro. E’ questo il bilancio dell’operazione congiunta condotta all’alba di questa mattina dai carabinieri di Bagheria (Palermo) e dai militari nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza in esecuzione di un provvedimento applicativo di misura cautelare emesso su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. I reati contestati sono, a vario titolo, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al delitto di usura, usura e estorsione aggravate dalla metodologia mafiosa e trasferimento fraudolento di valori. L’attività investigativa, iniziata nell’aprile 2018, ha accertato l’esistenza di un sodalizio dedito all’usura, tra i Comuni palermitani di Bagheria, Ficarazzi e Villabate, e permesso l’individuazione delle vittime, costrette a rivolgersi ai soggetti per poter ricevere dei prestiti con un tasso usuraio variante. Tassi che, a seconda degli episodi, variavano dal 143 per cento annuo e raggiungevano anche il 5.400 per cento annuo. Alle vittime, inoltre, la restituzione della somma di denaro prestata veniva richiesta mediante violenza o minaccia. L’inchiesta ha consentito di accertare che le attività illecite venivano svolte con metodologia mafiosa, atteso che i sodali evidenziavano alle vittime la provenienza mafiosa del denaro oggetto di finanziamento, con il chiaro intento di incutere timore e di garantirsi la restituzione degli importi pattuiti. L’organizzazione criminale, si è avvalsa della collaborazione di una funzionaria in servizio presso la società “Riscossione Sicilia spa” che avrebbe fornito illecitamente notizie riservate relative alle posizioni debitorie di numerosi soggetti. 

L’operazione è partita dal vaglio della posizione dell’avvocato Alessandro Del Giudice, tra gli arrestati: in qualità di legale di un mafioso di spicco della famiglia mafiosa di Misilmeri, il boss Pietro Formoso, allora in carcere, aveva assunto la veste di ‘portavoce’, spiegano gli investigatori della guardia di finanza e dei carabinieri, del proprio assistito detenuto. Ne veicolava messaggi e direttive da trasmettere fuori dall’istituto penitenziario, garantendogli la periodica comunicazione con gli altri associati e la gestione indiretta delle attività imprenditoriali, fittiziamente intestate a terzi, nelle quali aveva investito i proventi di attività criminali.