Opinioni

Le elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre hanno messo a nudo il re.

Le elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre hanno messo a nudo il re. Chi pensava di vincere ha perso e chi pensava di limitare i danni si trova sul podio più alto, quello della vittoria. Altri hanno partecipato ma hanno constatato sul campo che le previsioni della vigilia erano più rosee della realtà uscita dalle urne. Non è stato un fulmine a ciel sereno o uno tsunami. Si è materializzata una realtà che tutti, mentendo, si ostinavano a negare alla vigilia del voto. Chi ha vinto o perso lo ha fatto per propria incapacità e non per proprio merito. Segno, questo, che l’Italia in questo periodo storico sta vivendo una grande crisi politica dei partiti. All’orizzonte si intravede solo tanta nebbia dove tutti si muovono a tentoni senza sapere quale strada intraprendere sperando solo nel fato. La dimostrazione è stata il dovere ricorre, per l’ennesima volta, ad un tecnico per risolvere i problemi dell’Italia perché l’attuale schema parlamentare non sa che strada prendere. E probabilmente dopo Draghi ci sarà ancora Draghi. In questo contesto le elezioni amministrative non riescono a fare luce sulla maionese impazzita della politica italiana. Anzi l’amplificano ancora di più, mettendo sempre più a nudo la crisi che sta vivendo la politica italiana.

Il quadro che esce dalle elezioni amministrative è arlecchinesco. Il centro sinistra vince a Milano al primo turno con il Pd che distanzia di dieci punti percentuali il centro destra proprio nella città dove il centrodestra è nato ed ha dato la paternità ai suoi due leader, passati e presenti, Berlusconi e Salvini. Una seconda pagina storica è stata scritta a Napoli con la vittoria a valanga di Gaetano Manfredi ed a Torino dov’è l’imprenditore Damilano, dato per vincente, arranca e non poco. E poi c’è Roma, la sfida delle sfide: Gualtieri arriva al ballottaggio contro Michetti e può seriamente pensare di vincere la sfida capitolina. Tra la prima e ultima capitale dell’Italia evapora anche il M5S. Vittorie ottenute e probabili al secondo turno senza colpo ferire: tutto troppo facile grazie agli errori degli avversari.

Chi, invece, pensava di vincere ha perso. E non per la bravura degli avversari ma solo per proprio demerito. Il centro destra ha sbagliato non solo i candidati nelle più importanti città chiamate al voto. Ma si è suicidato con il gioco al massacro tra Salvini e Meloni: entrambi smaniosi di diventare leader di un centro destra ancora da inventare. I due hanno vissuto la sindrome da leader, l’uno preoccupato della vittoria dell’altro, e non hanno fatto forza comune per combattere gli avversari. Hanno praticamente innescato una spirale da gioco a perdere, un gioco perverso cui nemmeno il centro sinistra credeva. Ed invece è successo e dalle parti di Letta e company ancora non si capacitano come sia potuto succedere una cosa del genere. Nemmeno loro credevano che Salvini e Meloni, assieme ai loro colonnelli, potessero favorire la vittoria del centro sinistra. I leader di Lega e Fratelli d’Italia si sono dimostrati come due principianti allo sbaraglio: va, sicuramente, meglio la Meloni che ‘consolida’ il primato nel centro destra. Delude la Lega che paga l’ambiguità di Salvini, diviso tra la lotta mediatica e l’azione di governo. Ed ecco che, in questo contesto, ha ragione Berlusconi quando sottolinea che i due ‘ragazzi’ non possono seriamente candidarsi a guidare il Paese. Per l’ex presidente del consiglio serve sempre quel centro nel centro destra che sappia equilibrare e fare sintesi tra le due anime più estreme. Il Pd, così, si trova ‘costretto’ a cantare vittoria soprattutto per demeriti degli altri. Ora dovrebbe essere bravo a capitalizzare una vittoria ‘politica’ ma non ‘elettorale’, perché i numeri delle urne non rispecchiano la realtà del Paese considerando che un italiano su due non ha votato e che le periferie delle grandi città hanno disertato il voto. Per ora può cantare vittoria ma bisogna aspettare il ballottaggio di Roma per mettere, momentaneamente, il sigillo politico su questa prima tornata di elezioni amministrative.

Il M5S ha dimostrato tutta la sua evanescenza confermando che sul territorio non ha presa. Con i vaffa e con il populismo ad oltranza non si può continuare a guidare il Paese. I ragazzi di Grillo hanno fatto diecimila capriole politiche inghiottiti da un ‘sistema’ più grande di loro ed hanno compreso che il potere non si amministra con la stessa facilità con cui si aprire una scatoletta di tonno. Sono in difficoltà, è indubbio. Le amministrative hanno solo confermato che devono ‘trovare’ un orizzonte politico. Nei comuni dove si sono alleati con il Pd è subito emerso che i voti del M5S non sono risultati fondamentali per la vittoria del sindaco, come certificato a Napoli. E’ stato scelto Giuseppe Conte per risollevare il Movimento ma per l’ex premier la strada diventa, giorno dopo giorno, sempre più irta.

Il quadro che ne esce è molto frastagliato e questa maionese ‘impazzita’ tra pochi mesi sarà chiamata ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Il voto di queste amministrative inciderà sulla politica nazionale solo per pochi giorni: scaramucce tra partiti che fanno parte del gioco. Poi si cambierà registro. Ma ciò che preoccupa è proprio la debolezza politica dell’attuale quadro partitico che dovrà trovare e fare sintesi per eleggere il sostituto di Sergio Mattarella. Il rischio è che, ancora una volta, i partiti debbano rivolgersi a personalità ‘terze’ affinché risolvano problemi per loro manifesta incapacità. L’unico accordo possibile, almeno ad oggi, si può trovare solo sul nome di Mario Draghi anche se per opposte convenienze.  Come per Palazzo Chigi anche per il Quirinale l’attuale presidente del consiglio potrebbe essere la persona giusta. Certo. E sarà solo lui a decidere cosa fare e non i partiti. Il problema sarà, però, il dopo quando l’Italia si giocherà il futuro del prossimo ventennio e a deciderlo sarà quest’attuale classe politica perché, unica certezza, non si ricorrerà ad elezioni anticipate dopo l’elezione del sostituto di Sergio Mattarella.