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Eccesso di leaderismo e mancanza di classi dirigenti

Le elezioni amministrative appena concluse hanno fatto registrare una netta affermazione del centrosinistra, in particolare del Pd, ed una clamorosa sconfitta di Lega e Fratelli d’Italia, ma con un’affermazione dei candidati espressi dall’ala centrista della coalizione, come è avvenuto alle regionali in Calabria e alle comunali di Trieste. Tenendo da parte il fenomeno dell’astensionismo che è diventato, ormai, da sempre l’alibi per eccellenza per chi perde, per quanto riguarda il centrodestra, risulta chiaro che Lega e Fratelli d’Italia hanno clamorosamente fallito nel loro tentativo di attrarre il voto dei moderati. Fallimento reso ancor più evidente del successo espresso dai candidati proposti da Forza Italia e centristi, forze politiche inferiori in quanto a consensi elettorali, ma senza dubbio superiori in quanto a qualità e strategia politica. E’ innegabile che se a Milano e a Roma, fossero stati candidati, rispettivamente Albertini e Bertolaso, la competizione avrebbe potuto avere un esito diverso. E anche in caso di sconfitta, la qualità sarebbe stata diversa. Oggi Lega e Fratelli d’Italia, trascorrono il loro tempo a leccarsi le ferite e fanno il mea culpa per aver puntato su candidati civici del tutto sconosciuti. Però c’è anche da pensare e verificare se all’interno dei due partiti ci fossero politici in grado di aggregare consensi e risultare vincenti. Dove Lega e Fratelli d’Italia hanno imposto loro candidati, hanno perso clamorosamente. Si ha l’impressione/certezza che nei due partiti di destra, tolti i leader non vi fossero candidati politici all’altezza della sfida. E non ci riferiamo ai parlamentari che cercano di fare il loro meglio, ma ad una classe dirigente di livello, a cui la politica possa attingere. L’altro dato che emerge in modo apodittico è il rifiuto di quella società civile rappresentata da industriali, commercianti, professionisti e intellettuali, che non ha risposto all’invito di Salvini e Meloni. E’ come se il mondo produttivo, delle professioni, della cultura, si fosse sentito a disagio nell’accettare un programma politico incerto e privo di visione. Certo il leaderismo esiste anche a sinistra, ma ha continuato a mantenere una classe dirigente numerosa e di livello in tutte le articolazioni, dagli enti territoriali ai corpi intermedi, alle rappresentanze istituzionali. Nei partiti di destra, invece, c’é una vera e propria desertificazione della classe dirigente e si spingono gli elettori a raccogliersi intorno a uno più leader. Una sorta di ordinamento feudale , in cui l’investitura si ha in base all’appartenenza. Ma quando la realtà in tutta la sua crudezza, tale è il post Covid, bussa alle porte, gli slogan non vengono a riempire le tasche né le pance vuote. Il leaderismo non può essere certo l’elemento di reclutamento in una politica che deve rispondere a sfide complesse del mondo occidentale post pandemico. Questo mondo chiede alla politica di rispondere ai bisogni dei cittadini, che sono diventati molto più complessi e diversi rispetto all’ante pandemia. Quindi difronte a nuove esigenze, la politica non può rispondere con slogan e proposte monotematiche, spesso in competizione tra loro e sulla stessa base elettorale di riferimento. Occorre tener conto anche delle proposte che provengono dalla parte politica più moderata, o per dirla in gergo, centrista, che può svolgere quel ruolo di attrarre consensi da parte di chi non si riconosce nella destra estrema. La sconfitta del centrodestra, quindi, va ricercata nella mancanza della politica, nell’incapacità di saper mediare, di valorizzare le proposte dell’alleato concorrente. L’arroganza e il freddo calcolo delle percentuali, spianerà la strada ad una sicura sconfitta alle prossime politiche.

Andrea Viscardi