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Papa Francesco cerca i soldi perduti. Il retroscena di Bisignani sul viaggio in Canada

Perché Papa Francesco, dopo un periodo di riposo forzato, fa un viaggio in Canada e boicotta i Paesi dell’Europa dell’est dilaniati dalla guerra tra Russia e Ucraina? Luigi Bisignani lo spiega in un retroscena pubblicato su il quotidiano Il Tempo. Caro direttore, Bergoglio in cerca di dote. La buona notizia è che il Papa, apparso un po’ malconcio nei mesi scorsi, adesso sta bene e si è ripreso. Quella meno buona é che parte oggi per il Canada per dire «mea culpa» agli indigeni canadesi. Attirandosi così le critiche di chi in questo momentoriteneva prioritarie visite apostoliche in altri Paesi, dall’Ucraina, auspicata da mesi da più parti, all’Africa, dopo l’ultima drammatica strage di cristiani in una chiesa in Nigeria, e molti altri luoghi prima del Canada. Pare, infatti, a dir poco singolare che abbia rimandato per motivi di salute il viaggio programmato ai primi di luglio in Congo e in Sud Sudan (dove lí sì, cristiani e cattolici sono continuamente perseguitati e in costante aumento) per andare invece a compiere un’opera di decolonizzazione,sia pur altamente misericordiosa, in Canada. Quello che lui stesso ha definito il «pellegrinaggio penitenziale» inizierà quasi ai piedi dell’aereo, con l’incontro delle comunità indigene First Nations, Métis e Inuit per fare ammenda dello sradicamento dalle loro terre e culture che il sistema canadese impose.

Ciò viene adombrato anche in un’intervista, che sembra censurata, ad un pezzo da novanta della Curia romana, Paul Richard Gallagher, arcivescovo cattolico inglese – di fatto il ministro degli Esteri vaticano – secondo il quale di questi tempi la Chiesa dovrebbe essere invece molto più presente nei Balcani, e in aiuto di quei Paesi (Romania, Bulgaria, Slovacchia, Moldavia, Montenegro e anche, paradossalmente, la Bielorussia) dove l’attuale politica di Putin sta risvegliando vecchi e nuovi incubi.

Ma se la via di Kiev e Mosca pare essere preclusa al Papa, un suo viaggio in Polonia (dove i cattolici stanno facendo un’opera incredibile nell’accoglienza dei profughi ucraini) rappresenterebbe un segnale e una forza politica notevole con una risonanza globale. Un suo discorso dalla capitale della Moldavia, arriverebbe fino a Mosca e oltre. Anche perché l’irritazione del Patriarcato non si è mai sopita dopo le dure parole di Francesco verso Kirill. «Noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio». Molti si chiedono se non sarebbe stato più utile, e forse opportuno, un viaggio se non in Russia almeno nell’Est Europa, in destinazioni a due-tre ore da Roma, che si possono quindi svolgere in una giornata, a differenza della missione canadese che è lunga e dispendiosa, non solo in termini di fatica fisica. In Vaticano nemmeno si pensava alla necessità di una traversata canadese in questo momento. Benedetto XVI incontrò già i nativi canadesi nel 2009, pronunciando una richiesta di perdono che aveva lasciato tutti soddisfatti. Giovanni Paolo II andò in Canada nel 1984 e nel 1987 e, in entrambe le occasioni, ebbe incontri con i nativi americani, esaltandone la cultura, ma anche il rinnovamento portato loro dal cristianesimo. Non è quindi chiaro cosa veramente spinga oggi Bergoglio a questa faticaccia così poco impellente, con la quale finirà per far addossare alla Chiesa colpe solo in parte sue, anche perché i collegi e le scuole da dove vennero banditi gli indigeni canadesi erano principalmente statali. Il Canada ha una popolazione di circa 38 milioni, 16 dei quali cattolici, pari a circa il 44% del totale, peraltro in calo costante e conta ben 4 rappresentanti nel Sacro Collegio, tutti cardinali elettori. È ben vero che quando il premier liberale Justin Trudeau fece visita a Papa Francesco nel 2017, portò anche la richiesta di un viaggio in Canada perle scuse personali del Pontefice alle popolazioni indigene. Ma forse il motivo della scelta del Canada per il suo 37mo viaggio apostolico è più terra terra ed è legato a quell’ossessione che Bergoglio ha per il denaro, nonostante non riesca ancora a mettere ordine nel bailamme delle finanze vaticane, dove laici e monsignori si avvicendano per dimostrare chi ha fatto peggio. Quello che sembra più preoccupare Francesco sono infatti le brutte notizie che giungono dalle casse vaticane dal Canada e dagli Stati Uniti. Pare che dal Canada, dopo i casi di pedofilia, stia partendo contro l’ormai esangue Chiesa una valanga di richieste di risarcimenti. Notizie ancora peggiori per le casse di Francesco vengono dagli Stati Uniti. In un documento riservato circolato recentemente si evidenzia ancora di più la spaccatura con la Chiesa americana che, da sempre, con i suoi numerosi benefattori, attraverso la Papal Foundation, ha contribuito a far arrivare denaro direttamente al Santo Padre che può gestirlo, insieme all’Obolo di San Pietro, liberamente per le opere di carità in tutto il mondo. Da questo documento si evince la volontà dei benefattori di far restare i proventi delle donazioni in America per sostenere esclusivamente le necessità della Chiesa americana, senza più inviare il denaro alla Papal Foundation. Il tutto da ascrivere alle decisioni di questo pontificato, al poco interesse mostrato verso gli Stati Uniti e all’opaca gestione dei fondi da parte del Vaticano. Per Bergoglio, ancora un altro «mea culpa».