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Fast fashion: l’ultima conseguenza di cui nessuno parla

Si tratta, forse, della conseguenza meno grave della produzione a basso costo, ma è bene aggiungerla alla lunga lista di “contro” per gli acquisti online di questo genere: il fast fashion sta intasando il traffico aereo. Oltre ad essere responsabile per la produzione del 10% di tutte le emissioni di gas serra e per il 20% delle acque inquinate; a sfruttare 40 milioni di persone, di cui il 20% bambini di paesi in via di sviluppo; a produrre 5,3 tonnellate di rifiuti ogni anno, circa 12 kg per singolo essere umano sulla Terra, adesso, conquista anche il cielo.

Ogni giorno partono, dalla Cina, circa 10.000 tonnellate di prodotti stipati in 108 Boeing 777, per arrivare nelle case degli acquirenti occidentali. Significa immettere nell’aria circa 10 tonnellate di anidride carbonica al giorno, oltre che privare, le altre aziende, di una tratta di trasporto sicura in alternativa al Mar Rosso.

Le conseguenze sono ovvie: rincaro dei prezzi per il trasporto aereo e, paradossalmente, ritardo nelle consegne di tutta quella merce che non appartiene ai colossi cinesi. A Malpensa, per esempio, si registra un ritardo del 50% sulla consegna dei prodotti di importazione, perché non solo il fast fashion occupa molto dello spazio a disposizione nella stiva, ma la merce si presenta anche come complicata da gestire per il personale dell’aeroporto.

Merce che viaggia su ogni tipo di tratta: cargo e passeggeri, senza alcun tipo di imballaggio specifico che possa agevolare il lavoro. In definitiva, se è vero che non ci vogliono più mesi per ricevere un pacco dalla Cina, è anche vero che il tempo richiesto per la consegna è comunque maggiore di quello stimato, oltre ad essere causa di un livello di inquinamento che non possiamo più permetterci da almeno un decennio.

Ma le aziende prese in causa valgono fino a 100 miliardi di dollari sul mercato. Nonostante tutto, 43 milioni di acquirenti, in tutto il mondo, continuano a visitare Shein e Temu, tra i tanti siti e app che hanno ormai di gran lunga superato il numero di download di Amazon. Eppure, l’alternativa c’è ed è già molto popolare in molti paesi europei.

Secondo una ricerca dell’Istituto Svedese di Ricerca Ambientale, è possibile risparmiare, all’ambiente, chili di anidride carbonica per singolo capo comprato usato: 4 kg per un abito; 13 kg per un paio di sneakers, ma anche per dei pantaloni o un bomber; 2 kg per una gonna o per una T-shirt; 19 kg per un paio di scarpe e ben 33 kg per un paio di jeans. E tutto ad un costo sostenibile tanto quanto quello del fast fashion (se non di più, considerata la qualità dei tessuti e la possibile durabilità nel tempo dei capi): non ci sono più scuse.  

di Alice Franceschi