In Cassazione il caso del prete accusato di omicidio stradale e omissione di soccorso
di Nicola Mangialardi
Dopo il Gip e il Riesame don Nicola D’Onghia ricorre per Cassazione. È stato notificato, mercoledì scorso, il dispositivo della sentenza del Tribunale del Riesame con le motivazioni che sottopongono Don Nicola D’Onghia all’obbligo di dimora a Turi. Il sacerdote è accusato di aver travolto e ucciso, con la sua auto, la 32enne motociclista, Fabiana Chiarappa. L’incidente avvenne la sera dello scorso 2 aprile, intorno alle 20,30, sulla statale “dei Trulli e delle Grotte”, nel tratto tra Turi e Putignano. Secondo il teorema accusatorio emerso dalle indagini curate dai carabinieri della locale stazione e coordinate dal Procuratore aggiunto della Repubblica, Ciro Angelillis e dalla sostituta Ileana Ramundo il presbitero avrebbe investito la motociclista quando era ancora viva dopo essere caduta, poco prima, con la sua moto. Don Nicola venne prima iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio stradale colposo e omissione di soccorso e, poi, sottoposto alla carcerazione domiciliare preventiva. Contro quelle decisioni si opposero i difensori del prete gli avvocati Vita Mansueto e Federico Straziota che dopo il rigetto della richiesta di scarcerazione formulata in prima istanza al Gip, Nicola Bonante, fecero ricorso al Riesame presieduto da Annachiara Mastrorilli. Appello che portò alla scarcerazione del sacerdote con obbligo di dimora a Noci. Alla base delle decisioni della magistratura il convincimento che don Nicola che l’indomani mattina dell’incidente, appresa la notizia, si era recato in caserma per informare i militari che la sera prima, più o meno a quell’ora mentre percorreva, a bordo della sua “Fiat Bravo” quel tratto di strada aveva avvertito un rumore provenire dalla parte sottostante la sua auto. Lui aveva dichiarato di non essersi reso conto di cosa fosse successo e di essersi convinto di aver colpito un sasso. Una tesi, questa, che ha indotto gli inquirenti, che non hanno creduto affatto a quanto dichiarato dal sacerdote attribuendogli una sorta di malafede finalizzata a coprire quanto secondo loro realmente accaduto. Ma l’agguerrito collegio difensivo del Don, attraverso tutta una serie di approfondimenti investigativi ha contestato le tesi della Procura del capoluogo pugliese sostenendo che ci sarebbero tutta una serie di elementi e fattori che non accetterebbero la responsabilità del loro assistito oltre ogni ragionevole dubbio. Per questa ragione ieri è stato depositato il ricorso in Cassazione contro la decisione del Riesame. Adesso saranno i togati del Palazzaccio a esprimersi sulla vicenda, per quanto riguarda essenzialmente l’obbligo di dimora a cui Don Nicola ormai da quasi due mesi è sottoposto.