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‘Rinascimento digitale. Percorsi, progetti, esperimenti’, a cura di Gianluca Genovese ed Emilio Russo

Rinascimento digitale. Percorsi, progetti, esperimenti
a cura di Gianluca Genovese ed Emilio Russo

Prof.ri Gianluca Genovese ed Emilio Russo, Voi avete curato l’edizione del libro Rinascimento digitale. Percorsi, progetti, esperimenti edito da Treccani: quali sono le ragioni della fortuna del Rinascimento nell’immaginario globale attuale?

Rinascimento digitale. Percorsi, progetti, esperimenti” a cura di Gianluca Genovese, Emilio RussoIn un suo saggio sulla cultura e sulla società rinascimentale, Peter Burke ha evidenziato sia l’ambiguità, sia il potere della parola “Rinascimento”. Lo abbiamo potuto constatare anche in questi mesi segnati dalla voglia di ripartire dopo la pandemia da Covid-19: quante volte si è parlato, non solo in Italia ma in Europa e nel mondo, della necessità o dell’auspicio di un «nuovo Rinascimento»? Ecco, il tentativo di questo o di quel politico di servirsi della parola Rinascimento come di una sorta di amuleto, per la sua promessa di rilancio, di rinascita appunto, pur nella sua estemporaneità rivela tuttavia – come abbiamo tentando di mostrare nella nostra introduzione al libro – la percezione di punti di contatto forti tra le sfide del presente e quella straordinaria esperienza, esuberante ma segnata anche dalla crisi come sottofondo costante. Rivela soprattutto la speranza di rinnovare il mito di una riforma possibile – si direbbe oggi sostenibile – della contemporaneità. A partire dal Settecento, infatti, tutti i periodi segnati da innovazioni o da fratture destinate a mutare i paradigmi politici, sociali o tecnologici sono stati segnati dal ritorno a una riflessione profonda sul Rinascimento, visto come archetipo del moderno. Non si può poi non ricordare che accanto a questa sorta di miraggio culturale, e poi accanto al Rinascimento dei pensatori e degli studiosi, c’è il Rinascimento del grande pubblico contemporaneo, assai più poroso e più ampio: quello dei selfie con la riproduzione in scala reale del David di Michelangelo nell’Expo di Dubai, per intenderci. Basti pensare a cosa è accaduto con la serie televisiva dedicata a Leonardo da Vinci nel 2021, co-prodotta dalla Rai. La serie è stata immediatamente acquistata pressoché a scatola chiusa da 120 paesi, proprio perché nell’artista e scienziato toscano si proietta tutto lo spettro delle «rappresentazioni mitiche» del genio rinascimentale, rese pop da opere di largo consumo quali il Codice da Vinci di Dan Brown, o da videogiochi fortunatissimi come Assassin’s Creed. Rinascimento. Si tratta di fenomeni di grande interesse per la storia della cultura, poiché attestano il radicamento molto forte del mito del Rinascimento nelle strutture dell’immaginario contemporaneo.

Quali nessi vi sono tra la rivoluzione segnata dall’introduzione della stampa e la nuova rivoluzione digitale?

Le perplessità che accompagnarono l’avvento della stampa a caratteri mobili ricordano molto da vicino alcune posizioni del tecno-scetticismo contemporaneo. Il monaco e bibliofilo benedettino Johann Tritheim enumerava nel 1492 le ragioni principali della propria avversione per la stampa: la caducità e inaffidabilità nel tempo del supporto materiale (ossia la carta, molto più fragile della pergamena dei manoscritti); la perdita di una componente fondamentale dell’esperienza estetica e cognitiva che era garantita dai codici trascritti a mano, capaci anche di educare lo sguardo; le minacce arrecate da nuovi condizionamenti socio-economici di tipo “industriale” alla libertà intellettuale degli autori. Sono questioni che – a buon diritto – si ripropongono con forza esponenziale nell’attraversamento della nuova soglia tecnologica: se abbiamo sperimentato per secoli la semplicità e la forza della forma libro, non è troppo grosso il rischio di affidare a supporti digitali (di gran lunga più deperibili dei cartacei) la conservazione nel tempo delle informazioni? Come la pervasività dell’“infosfera” influirà sullo sviluppo intellettuale e cognitivo e sull’educazione dello sguardo delle nuove generazioni? Che riflessi avranno le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla costruzione del pensiero critico e sulle libertà individuali? Quello che abbiamo tentato di dimostrare attraverso i casi esemplari raccolti nel libro è che i sempre più vasti e articolati progetti di digital humanities dedicati al Rinascimento non eludono, anzi spesso nascono proprio dalla volontà di confrontarsi con questi nodi problematici. Insieme con la pratica, concreta e funzionale, delle digital humanities, vi è inoltre una prospettiva teorica di grande interesse. Una delle ragioni del fiorire in tutti i continenti delle Renaissance Societies e dei Renaissance Studies può essere rinvenuta infatti nell’esigenza di verificare se e come la mutazione antropologica che fu determinata dall’invenzione della stampa possa aiutarci a intendere i nuovi modelli di pensiero e di conoscenza indotti dalla rivoluzione digitale. Da un lato si avverte l’urgenza di un’epistemologia del digitale e delle trasformazioni che ha provocato nell’organizzazione del sapere e negli stessi processi neuronali e cognitivi; dall’altro lato il World Wide Web ha soltanto trent’anni ed è in continuo e febbrile movimento: è dunque estremamente difficile fissare griglie storiografiche e interpretative. Ecco allora spiegato l’interesse crescente per la storia e gli esiti della terza rivoluzione (la stampa): ossia la ricerca di chiavi di lettura per le criticità e potenzialità della quarta (il digitale), in cui siamo immersi e che nel giro di pochi decenni ha trasformato il nostro modo di stare nel mondo. Un caso illuminante è quello di Johanna Drucker, autrice di Graphesis, che è partita dallo studio della forma-libro rinascimentale per riconoscere da una prospettiva umanistica potenzialità ed epistemologia delle forme visive dell’interfaccia grafica utente, ossia la caratteristica dominante degli schermi di quasi tutti i dispositivi elettronici di consumo. Non è un caso che l’itinerario tracciato da Peter Shillingsburg in From Gutenberg to Google (2006) abbia assunto i caratteri dell’esemplarità, tanto da essere visto come «la storia del nostro futuro» da un esperto di comunicazione del calibro di Tom Wheeler, che è stato il braccio destro di Barack Obama nella regolamentazione della net neutrality.

Quali sono i rischi e le opportunità offerti dalle nuove tecnologie per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio librario, artistico e scientifico del Rinascimento?

Questa è una domanda che è risuonata in modo costante negli ultimi trent’anni nelle riflessioni sul rapporto tra le nuove tecnologie e le discipline umanistiche. C’è stata una fase iniziale all’insegna di una sorta di euforia, per le possibilità che si aprivano in modo evidente nello studio di ambito storico, e soprattutto di ambito storico-letterario nel Rinascimento: pensiamo alla creazione di corpora di testi che favorivano confronti e analisi quantitative su autori, su generi, su singoli temi; pensiamo anche a tentativi successivi, a volte anche molto raffinati, di elaborare nuove soluzioni per le edizioni digitali dei testi, oppure per la visualizzazione di percorsi di ricerca, e così via. A questa prima fase, importante e in qualche misura impetuosa, è seguita una riflessione proprio sulle difficoltà e sui rischi di queste operazioni: e il rischio più evidente appare ancora oggi quello di orientare la ricerca in funzione delle tecnologie, di vincolare i progetti e le indagini umanistiche alla natura e alle potenzialità dei software che sono a disposizione o che si prevede di sviluppare e utilizzare. Non, dunque, una sinergia tra i due elementi della formula Digital Humanities, ma una funzionalizzazione dell’indagine storica alle caratteristiche delle tecnologie utilizzate. Per molti anni vi è stata, nei progetti per i quali si chiedeva un finanziamento pubblico, una sorta di idolatria del database: bisognava trovare il modo di inserirlo, anche quando era evidentemente pretestuoso. Negli ultimissimi anni, tuttavia, sembrano essersi avviate pratiche più efficaci, e si intravede una fase di progressiva maturazione. Dopo l’età della frammentazione di cui ha parlato Gino Roncaglia in un volume recente, età nella quale l’enorme offerta di contenuti culturali si articola in frammenti, in unità minime di dimensioni in genere contenute, si sta cioè avviando una riflessione per offrire su web ambienti funzionali sia alla ricerca sia alla divulgazione di contenuti articolati e complessi, secondo architetture man mano più raffinate. La larga disponibilità nel web del patrimonio manoscritto e a stampa tra XV e XVII secolo sollecita per esempio un coordinamento dei diversi progetti di ricerca, una loro connessione virtuosa, per offrire in maniera efficace percorsi e attraversamenti utili a valorizzare la cultura del Rinascimento italiano e, in prospettiva, anche europeo.

Quali sono le questioni più spinose che animano il dibattito contemporaneo sulle digital humanities?

In Italia da diversi anni è attiva l’AIUCD, l’Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale, animata da un gruppo di studiosi diversi per formazione ed esperienze, ma tutti impegnati nella valorizzazione del settore delle Digital Humanities, che è un settore di confine, naturalmente in dialogo con diverse discipline, in una prospettiva aperta, dinamica. I loro convegni, i loro incontri offrono una buona panoramica del dibattito in corso (http://www.aiucd.it/). Intanto, dal punto d’osservazione di studiosi della letteratura italiana che si trovano spesso a collaborare con progetti di Digital Humanities, sembrano da sottolineare almeno due punti chiave: essendo oramai naturale la realizzazione di portali e piattaforme su web per tutti i progetti sostenuti con fondi pubblici, siano fondi europei, fondi ministeriali o risorse dei singoli atenei, uno dei problemi essenziali è quello della sostenibilità nel medio e lungo periodo di questi prodotti digitali. Una volta terminato il periodo della ricerca vera e propria, si pone cioè il problema della conservazione e del mantenimento di siti e portali: ed è una questione su larga scala, anche solo per quanto riguarda i progetti sul Rinascimento, che probabilmente richiede il sostegno e l’azione di raccordo di un ente nazionale, in vista della salvaguardia di strumenti importanti per la ricerca che contengono e per quella che possono promuovere in prospettiva futura. Il secondo punto, in certa misura collegato, è quello della protezione e soprattutto della valorizzazione dei materiali che vengono pubblicati in questi ambienti digitali: sono materiali in genere frutto di ricerche impegnative e che tuttavia risultano solo parzialmente riconosciuti nelle attuali griglie di valutazione dei prodotti scientifici. Si tratta di una questione che riguarda la comunità scientifica in generale ma in particolare le generazioni più giovani, e che dunque merita attenzione.

Quali proposte concrete è possibile avanzare per costruire ambienti di ricerca e di diffusione della conoscenza al passo con le sfide di questo tempo?

Le linee di sviluppo auspicabili, almeno per le ricerche in corso sul Rinascimento, sono quelle cui facevamo riferimento poc’anzi: appare sempre più necessaria la collaborazione tra diversi gruppi di ricercatori, la realizzazione di ambienti digitali nei quali confluiscano in maniera virtuosa (e in primo luogo non caotica) le ricerche portate avanti nei vari progetti internazionali. Da queste integrazioni potrà emergere una prospettiva realmente interdisciplinare, e la possibilità di approfondire la cultura del Rinascimento nei suoi diversi aspetti (letteratura e musica, filosofia e arte, storia sociale e storia delle idee, e così via). Alcune iniziative mostrano già questa linea di tendenza, come quelle promosse dall’Istituto di Studi sul Rinascimento di Firenze (https://www.insr.it/), o quella avviata da un gruppo di studiosi nel 2019 e intitolata volutamente al plurale: “Archivi del Rinascimento” (https://www.archivirinascimento.it/). I progetti ed esperimenti illustrati nel libro mostrano come la questione non sia più la disponibilità del sapere e delle immagini (in senso ampio) del nostro passato, ma l’organizzazione del sapere e delle immagini, l’investimento di senso dei dati ormai sovrabbondanti: tentano questa direzione il web semantico, le mappature per la ricerca storica geo-spaziale, la visualizzazione di network attraverso database relazionali, le Time machine progettate per la conoscenza, nel tempo e nello spazio, di città e centri culturali. Moltissimo rimane però ancora da fare, e in particolare occorre pensare alla possibilità che questi strumenti siano progressivamente affinati su diversi livelli, per andare incontro a diverse fasce di lettori: attraverso un’opportuna graduazione delle informazioni, un unico ambiente potrebbe essere la sede di ricerche avanzate e insieme di percorsi informativi, secondo le logiche di disseminazione delle conoscenze opportunamente sottolineate dai bandi nazionali e internazionali. Accanto agli studiosi e agli specialisti appare infatti importante offrire la straordinaria ricchezza del Rinascimento, la sua complessità, a un pubblico più largo, pensando a strumenti utili per la didattica nelle scuole (anche nella smart school), o a percorsi divulgativi solidamente impostati.

Gianluca Genovese insegna Letteratura del Rinascimento all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Tra i suoi libri: La lettera oltre il genere (Roma-Padova, 2009); Le vie del Furioso (Napoli, 2017); Letteratura e arti visive nel Rinascimento (curato con A. Torre, Roma, 2019).

Emilio Russo insegna Letteratura italiana alla Sapienza-Università di Roma. Tra i suoi libri: Rinascimento. Un’introduzione al Cinquecento letterario italiano (con Giancarlo Alfano e Claudio Gigante, Roma, Salerno Editrice, 2016); Ridere del mondo. La lezione di Leopardi (Bologna, Il Mulino, 2017).