Politica

Nomine delle partecipate nel mirino Consob, da Mario Draghi colpo alla trasparenza. Il retroscena di Bisignani

Caro direttore, chi di spada ferisce di spada perisce: Mario Draghi rischia così di passare alla storia per aver dato un duro colpo alla trasparenza e alle “best practice” sui mercati, tanto care a lui e al suo guru Giavazzi. La Consob, sembra sollecitata dai grandi fondi mondiali di investimento – compresi i due giganti BlackRock e Vanguard – e, soprattutto, dai mugugni di Assogestioni, pare che adesso voglia vederci chiaro sulle recenti nomine nelle partecipate pubbliche: da Fincantieri, Aspi e Italgas fino ad Ansaldo, senza tralasciare Snam. I fondi si sono rivolti, per un parere, ai più importanti studi legali internazionali che operano in Italia, per verificare la corretta ed efficace gestione della “corporate governance” nelle aziende pubbliche quotate in borsa. Ovviamente il punto non è tanto se le nomine siano state decise seguendo le logiche del “manuale Giavazzi”, il novello “Cencelli fai da te” seppur in sfregio alla politica, ma che queste rischino di essere ritenute lesive del libero mercato in quanto infarcite di dipendenti di Cdp inseriti come gettoni all’interno dei cda di aziende quotate delle quali la stessa Cdp ne è azionista, comportandosi di fatto come un “socio unico”. Questo in sfregio anche alla pronuncia della Corte dei conti per cui «viene affermata la responsabilità dell’ente controllante per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione». Certamente nulla vieta a Cdp, braccio armato finanziario di Palazzo Chigi, di indicare presidenti e amministratori delegati “amici”, benché presentati come indipendenti, tantomeno di rottamare manager storici come Giuseppe Bono in Fincantieri, Giuseppe Zampini in Ansaldo o Marco Alverà in Snam. Invero, è una prassi tutta italiana sempreverde quella di sostituire la professionalità con l’inesperienza che tuttavia, in questo caso, fa il paio con la constatazione che nel parterre dei consiglieri delle partecipate siano stati piazzati solo dei modesti dipendenti di Cdp. In Fincantieri, ad esempio, ne hanno designati ben quattro, Battaglia, Di Carlo, Chiacchiella e Rossi, così come in Italgas e in Aspi. Addirittura “due poltrone per uno” per Fabio Barchiesi, simpaticissimo capo dello staff dell’Ad di Cdp Dario Scannapieco nonché competente fisioterapista il quale, evidentemente per le sue capacità atletiche, riesce agilmente a saltellare in ben due i cda come quello di Ansaldo Energia e della Sgr immobiliare della stessa Cdp. Con buona pace della Prima Repubblica.

La Consob ora vuole capire se la presenza così massiccia e ingombrante di dirigenti di Cdp nelle partecipate pubbliche non possa essere qualificata come un’attività di «direzione e coordinamento» da parte di Cdp stessa, ai sensi dell’art. 2497 del Codice civile. Un’eventualità di questo tipo avrebbe delle conseguenze rilevanti perché «potrebbe esporre Cdp a una responsabilità nei confronti dei soci per l’eventuale pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della Società». Che autonomia possono avere infatti degli stipendiati di Cdp all’interno dei cda delle aziende in cui vengono catapultati ma, soprattutto, di chi faranno gli interessi? Dei loro datori di lavoro, in questo caso Cdp, o delle società che sono chiamati ad amministrare? E come si comporterebbero di fronte ad un aumento di capitale o ad un’eventuale fusione, visto che se ne parla proprio per Fincantieri con Leonardo, ora che ci si aspetta, tra l’altro, l’ennesimo inciampo giudiziario per l’Ad Alessandro Profumo, o per Snam con Terna?

Peraltro, se Cdp volesse azzerare i consigli in corso d’opera potrebbe facilmente farlo, pretendendo le dimissioni forzate dai suoi dipendenti. Almeno ad Assogestioni – che riunisce le società di gestione del risparmio ed è considerata, a buon diritto, “nume tutelare” della corporate governance – dovrebbe essere garantita nei cda una rappresentanza di minoranza o, perlomeno, la designazione di amministratori indipendenti in grado di tutelare gli interessi esclusivi della loro società. In questo modo si potrebbe garantire che un’azienda quotata non segua soltanto le linee politiche di governo ma si concentri sulle logiche di mercato. Come fa notare Federico Tedeschini, principe degli avvocati amministrativisti italiani, «la questione sollevata dai grandi fondi internazionali riguarda tutto il sistema delle partecipate pubbliche anche perché è stato da tempo abbandonato l’originario sistema delle direttive governative nei confronti degli enti di gestione: prima o poi la questione verrà sollevata da qualche Procuratore della Corte dei Conti». Sergio Mattarella, imbullonato al Colle per altri sette anni, per ora tace o forse anche lui, come d’altronde i partiti, si è stufato di questa mancanza di trasparenza nelle società pubbliche e di questo Governo fai-da-te e aspetta di mandare tutti a votare per evitare, tra l’altro, di vedere piazzati altri amichetti del trio “Giavazzi, Funiciello e Scannapieco” in Eni, Terna, Enel e Poste. Ma non è solo per questo che sarebbe auspicabile andare al voto il prima possibile. La data preferita, stipendio dei parlamentari assicurato, è il 16 ottobre. Speriamo che questa volta il tempo sia galantuomo.