Politica

Il governo ci lascia senza WiFi: Draghi è rimasto senza rete. Il retroscena di Bisignani

La rete unica del comparto TLC rischia di saltare e terremotate i fondi del PNRR legati allo sviluppo della rete internet per l’Italia. Dietro questo ‘bug’ ci sono, come al solito, le solite ‘macchiette’ all’italiana. E Luigi Bisignani, in un retroscena pubblicato sul quotidiano Il Tempo, che di seguito si può leggere, spiega il perché.

Caro direttore, il governo dei migliori con lo spread che si impenna, Lega e Grillini in uscita e la pace in Ucraina che si allontana, ci lascerà anche alla canna del gas e senza WiFi. Del gas ha parlato a chiare lettere Claudio Descalzi il “draghetto” più affidabile del governo il quale, come un fedele cane a sei zampe, accompagna il ministro degli Esteri Di Maio alla speranzosa ricerca di qualche riserva in Africa lasciata libera dai francesi o dai cinesi.

Quella della rete tlc è invece una nuova sciagura e sta venendo alla luce dalle segrete stanze di Cassa Depositi e Prestiti che controlla Open Fiber e, con una quota di circa il 10%, anche Tim. La storia va raccontata perché a causa delle rappresaglie tra azionisti e Fondi, si rischia di far saltare gli ingenti fondi PNRR dedicati al settore. Gli indizi c’erano tutti da mesi, almeno da quando Dario Scannapieco, il banker di fiducia di Draghi catapultato a Roma dalla Bei, ha rimandato di settimana in settimana la lettera d’intesa sulla rete unica tra CDP, appunto, e Tim. Alla fine, dopo mesi di travaglio, è stato partorito un inutile topolino con le sembianze di un documento non vincolante.

Il motivo dei ritardi, a sentire i commenti degli advisor che lavorano ai dossier, non è imputabile a Tim, ma alla situazione di Open Fiber, dopo l’uscita di Enel, e la sostituzione di Elisabetta Ripa con Mario Rossetti: un brav’uomo che sa soprattutto di numeri ma timoroso di tutto, giustificato per aver subito, per ben 11 anni, una persecuzione giudiziaria dalla quale è uscito assolto e che ha raccontato nel bel libro-denuncia “Io non avevo l’avvocato”, scritto con Sergio Luciano. Come se non bastasse, a complicare quel CDA è stata la nomina alla presidenza di Barbara Marinali, soprannominata scherzosamente “bla bla bla”, PD doc, tendenza Enrico Letta, in sintonia con Antonio Nicita – rampante componente della commissione per le infrastrutture – e Marco D’Alberti -consigliere giuridico di Mario Draghi. Tutti di assoluta e rigorosa obbedienza alla dottrina di Francesco Giavazzi. La Marinali è finita ad Open Fiber dopo aver perso la corsa alla presidenza di Webuild e per condividere la beffa con i neo-colleghi adesso li inchioda in consiglio a ore di discussioni anche per approvare un piano che si è dimostrato irrealistico. I risultati, per ora deludenti, sono: l’avanzamento dei lavori di rete nelle aree bianche -quelle pagate con il contributo dello Stato- che sta progredendo ad una velocità pari a meno della metà rispetto a quella prevista dal piano industriale mentre le cosiddette aree nere, ovvero i grandi centri a carico dell’azienda, sono completamente ferme. Risultati peggiori di quelli dell’anno scorso quando l’azienda, allora ancora guidata da ENEL, si trovava ad affrontare nei cantieri i problemi causati dal Covid. Incurante delle performance sin qui ottenute, Open Fiber, infarcita da dirigenti segnalati da CDP, si è aggiudicata anche 8 lotti per le aree grigie. Al Mef continuano a chiedersi come Open Fiber possa essere in grado di svolgere i lavori previsti se non è stata in grado di rispettare i piani per le aree bianche e quelle nere. Per ovviare alla mancanza di manodopera per i lavori di scavo della fibra, qualcuno si è addirittura lanciato nell’ipotesi di utilizzare i carcerati: ma si tratta di una difficile collaborazione soprattutto per via della formazione dei detenuti da utilizzare e per i mille dubbi sollevati da parte della Polizia Penitenziaria. L’episodio è solo la punta dell’iceberg, come lo è il nervosismo tra i vertici di Open Fiber e i vecchi azionisti di Enel, tanto che per motivi di “riservatezza” Rossetti ha fatto creare un secondo dominio internet che opera in parallelo a quello ufficiale. Sarebbero circa 50 i dirigenti e dipendenti dell’azienda che hanno una doppia e-mail ed è stato creato addirittura un doppio sistema di videoconferenze con i dirigenti di primo livello invitati ad utilizzare Webex quando il resto dell’azienda continua a usare Teams di Microsoft gestito dall’Enel. Dopo la conferenza stampa di Rossetti, il quale ribadisce che va tutto bene, che la rete unica si fa – convinto com’è di prenderne la guida – e che aspetta solo che si materializzino 8.000 persone da utilizzare per gli scavi, sono Palazzo Chigi e CDP a dover chiarire cosa succederà in Open Fiber. Mentre Vivendi, l’azionista più importante di Tim, deve decidere o meno se accettare l’offerta per la società della rete unica a prezzi ben inferiori a quelli di carico, come ha anticipato l’uomo forte di Parigi Arnaud de Puyfontaine che da mesi cerca interlocutori istituzionali affidabili. Secondo i rumors, i francesi non prenderebbero nemmeno in considerazione una valorizzazione di Netco inferiore a 24 miliardi di euro, cifra ancora parecchio lontana rispetto al valore che sembra sia disposta a pagare CDP.
Non è chiaro a questo punto con chi giochi il governo. Agevolare l’offerta di KKR di qualche nuovo Fondo o andare incontro ai francesi? Insomma un gran pasticcio. Si sa che il premier Draghi, anche se strizza l’occhio a Macron, è ideologicamente più vicino ai fondi USA. Comunque vada a finire una cosa è ormai certa: l’Italia rimarrà ancora a lungo senza rete e Bruxelles guarderà sempre con più attenzione ai giochini romani con il rischio di cancellare sul serio i fondi del PNRR. E allora resteremo senza rete, aria condizionata e con la Troika in casa. Ma quella vera, non il trio Draghi, Franco, Giavazzi.