CronacaItalia

Italia, sanità: 1 su 3 rinuncia alle cure

L’Italia ha sempre garantito, per Costituzione, ottime cure gratuite agli indigenti. Questo però fino agli ultimi anni, quando i dati preoccupanti, di rinuncia alle cure, hanno iniziato a far vacillare il grande fiore all’occhiello della democrazia italiana.

Secondo l’ultimo Rapporto sul Sistema Sanitario italiano di Eurispes ed Enpam, ben un italiano su tre si trova costretto a rinunciare alle cure per ragioni di tipo economico. È il Portale della Trasparenza dei Servizi per la Salute a fornire ulteriori spiegazioni: se è vero che il Servizio sanitario nazionale (SNN) è tenuto a somministrare tutta una serie di servizi definiti LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) ai cittadini, è anche vero che, spesso, lo fa grazie all’apporto economico dei pazienti stessi. Nei LEA rientrano servizi di prevenzione collettiva (vaccini e screening), assistenza distrettuale (farmaceutica) ed ospedaliera (day hospital, day surgery, day service e pronto soccorso), a cui si aggiungono anche cure odontoiatriche in età evolutiva, ma sono poche le prestazioni a non richiedere il versamento di un ticket più o meno caro: le cure in pronto soccorso, per i casi non gravi, si attestano sui 25€; le visite specialistiche e le ricette costano circa 36€; il ticket per i farmaci, poi, segue regole dettate dalle case farmaceutiche e dalle singole regioni, responsabili dei prezzi delle cure somministrate nel loro territorio. Più in generale, si stima che gli italiani spendano 40 miliardi di euro all’anno per la loro salute, senza essere coperti dal SNN.

Eurispes sottolinea, inoltre, come il deficit di prestazioni adeguate, in alcune regioni, porti le persone in cura a spostarsi su scala nazionale. Ai costi sanitari si aggiungerebbero, quindi, anche quelli di trasferimento, ma il problema non riguarda soltanto i pazienti. Perché le strutture in grado di fornire il maggior numero di servizi, hanno anche a disposizione una quota più alta da reinvestire in macchinari ed aggiornamenti, non permettendo, al resto del paese, di stare al passo.

Ne consegue che ci si può curare gratuitamente, negli ospedali pubblici, soltanto in regioni come la Lombardia, l’Emilia Romagna ed il Veneto mentre, chi del Centro-Sud può, esasperato dalle estenuanti liste d’attesa, si sposta in centri di cura privati. Chi non può, semplicemente, rinuncia a curarsi.

Mancano fondi sia per l’assistenza sanitaria ai cittadini, che per il giusto riconoscimento economico ai medici ed agli infermieri italiani: 6,7% del PIL investito per la sanità nel 2022, contro il 6,6% speso nell’anno corrente ed addirittura il 6,4% previsto per il 2024. I medici ad emigrare all’estero, scoraggiati dal dover svolgere lo stesso lavoro logorante dei loro colleghi europei in condizioni così precarie, nell’ultimo decennio, sono stati 10 mila e, chi non emigra fuori dai confini nazionali, si sposta in strutture private.

La privatizzazione del sistema sanitario risulta, quindi, più di una preoccupazione: è una realtà, per quanto non ufficiale.

di Alice Franceschi