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Ambiente: chiedere una zampa vegana

Sono anni che scienziati ed esperti dei cambiamenti climatici ci chiedono di ridurre il consumo di carne, per evitare di alimentare l’industria che, più di tutte, rischia di portare questo pianeta al collasso. Per quanto le loro raccomandazioni abbiano funzionato su una piccola percentuale di popolazione (il 14% della popolazione mondiale è vegana o vegetariana), i sacrifici continuano a non essere abbastanza e le ultime catastrofi ambientali ne sono la testimonianza concreta. A questo proposito, i ricercatori della Griffith University hanno deciso di sperimentare un nuovo tipo di alimentazione sostenibile per una comunità di esseri viventi, poco considerata a livello di impatto ambientale, ma sulla quale possiamo avere pieno controllo: gli animali domestici. Nel 2021 si stimavano, circa, 64 milioni di animali da compagnia solo in Italia, di cui 18 milioni, tra cani e gatti, si nutrono per lo più di carne. A detta degli studiosi, il fabbisogno di amminoacidi essenziali che cani e soprattutto gatti (di natura carnivori) assimilano dalla carne potrebbe essere raggiunto anche con una bilanciata dieta 100% vegetale, riducendo di 2 miliardi il numero di animali mandati al macello ogni anno. Non solo: adottare il veganismo per ogni animale domestico, nel mondo, porterebbe a diminuire le emissioni di gas serra delle stesse quantità prodotte dal Regno Unito e Israele insieme.

Appurato che le nostre scelte etiche, quando ne facciamo, possono ricadere sugli amici a quattro zampe (senza nuocere alla loro salute a patto che, come sottolineano i ricercatori, il cibo scelto venga prodotto da aziende affidabili e sia ben bilanciato a livello di nutrienti), è sempre bene ricordare che i primi esseri viventi, sulle quali scelte abbiamo pieno controllo, siamo noi, esseri umani. Cosa accadrebbe se tutti smettessimo di consumare carne, entro il 2050?

Secondo Marco Springman, ricercatore presso l’università di Oxford, diminuirebbero sia le emissioni del 60% (70% se diventassimo vegani), sia la mortalità globale (di circa il 10%). Certo, non senza enormi problemi economici e sociali (questo modello di consumo vegetale porterebbe benefici soltanto alla parte industrializzata del mondo, lasciando i paesi in via di sviluppo in condizioni di povertà peggiorate), ma quello di cui parla Springman rimane comunque un orizzonte realisticamente impossibile da raggiungere e le conseguenze, quelle positive così come quelle negative, risultano quindi abbondantemente esagerate.

L’Oms richiama alla moderazione: basterebbe ridurre il consumo della carne a una, due, massimo tre volte a settimana, anche per chi la assimila attraverso i croccantini. Ma che il peso della nostra responsabilità non ricada soltanto su di loro: anche perché, le emissioni di Regno Unito e Israele non sarebbero comunque abbastanza a raggiungere l’obiettivo europeo del 55% di emissioni in meno entro il 2030.

di Alice Franceschi