Salute

Ictus cerebrale, la sfida alla disabilità e l’importanza della riabilitazione

L’ictus cerebrale è la terza causa di morte in Italia. Cosa fare quando compaiono i primi campanelli d’allarme

Federico Mereta Giornalista Scientifico Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Abbiamo bisogno di città a misura d’uomo, di attenzione alle persone. Quando si parla di affrontare i problemi fisici o psicologici che interessano in Italia oltre tre milioni di persone, bisogna prendere coscienza tutti di ciò che ognuno può fare. È un impegno importante quello che ci ricorda la Giornata Internazionale delle Persone con disabilità, che si celebra il 3 dicembre.

Le statistiche dicono che circa la metà dei tre milioni di soggetti che presentano problemi di questo tipo fa i conti con gravi limitazioni e che le donne appaiono più rappresentate in questa popolazione: sono circa il 60% del totale, soprattutto in età più anziana. Come “manifesto” di quanto la disabilità possa impattare su una famiglia, prendiamo l’ictus cerebrale. In Italia quasi un milione di persone fa i contri con esiti più o meno invalidanti, rendendo di fatto questa patologia la prima causa di disabilità in Italia, oltre che la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie.

Cosa succede in caso di ictus

In termini generale l’ictus cerebrale può provocare paresi degli arti superiori e inferiori, causare problemi neurologici e cognitivi; un paziente su tre soffre di disturbi del linguaggio e di depressione.

L’ictus è un tema largamente trattato dal punto di vista della prevenzione e della gestione della fase acuta, mentre sono più scarse e frammentarie le informazioni sulla fase successiva, quella riabilitativa. La maggior parte dei pazienti, infatti, torna a casa senza ricevere notizie sui possibili sviluppi della patologia o sui percorsi che si possono intraprendere, facendo inevitabilmente aumentare anche il senso di isolamento e di rassegnazione di fronte alle enormi difficoltà da affrontare per cercare di riprendere una vita che sia il più possibile “normale”, in base alle proprie abilità.  Ed è invece fondamentale puntare sulla riabilitazione, con percorsi mirati per ogni persona.

“Il post ictus è una fase molto delicata ma, purtroppo, ancora troppo trascurata – spiega Danilo Toni, Direttore Unità Trattamento Neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma e Presidente del Comitato Tecnico-Scientifico di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale). Le persone colpite da ictus presentano esiti più o meno invalidanti causati dal danno cerebrale ed è fondamentale che ricevano una corretta informazione sulla fase riabilitativa, in modo da poter, possibilmente, migliorare la propria situazione clinica”.

Un’altra conseguenza dell’ictus, che può svilupparsi settimane, mesi o addirittura dopo anni, è la spasticità, presente in circa il 19% dei casi 3 mesi dopo l’attacco e dal 17% al 38% ad un anno dall’evento acuto e, purtroppo, è ancora spesso sotto-diagnosticata e sotto-trattata, causando disabilità gravi per la persona con un impatto fortemente negativo sulla qualità di vita dei pazienti e dei loro caregiver.

Si segnalano, inoltre, servizi territoriali non omogenei e un’assistenza non continuativa, rendendo così difficile l’accesso ai percorsi riabilitativi più adatti a seconda della disabilità da cui la persona colpita è affetta, poiché l’ictus cerebrale è una malattia che spesso viene ancora considerata ineluttabile dalla famiglia e dalla società. “La nostra Associazione – segnala Andrea Vianello, neo presidente di A.L.I.Ce. Italia ODV – è particolarmente attenta alla disabilità e aderisce con forza a quanto indicato nel messaggio dell’Onu che introduce la ricorrenza e la sua tematica nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile che impegna a non lasciare nessuno indietro”.

I volti dell’ictus

Non tutti gli ictus hanno la stessa origine, ma tutti condividono la necessità di giungere prima possibile in ospedale in caso di comparsa di segni e sintomi che debbono mettere in allarme, come la perdita di forza di un braccio o una gamba, difficoltà a parlare, assenza di sensibilità ad una parte del corpo, calo improvviso della vista, sensazione di perdita dell’equilibrio (e sono solo esempi).

Il tempo è un fattore chiave per limitare i danni in caso di mancato afflusso di sangue ed ossigeno ad un’area del cervello. In termini generali, la maggior parte degli episodi è legata ad un’ischemia, che può interessare i tanto le grandi arterie, come ad esempio le carotidi, così come i piccoli condotti che scorrono all’interno del cranio.

L’ictus emorragico, invece si manifesta in circa il 15 per cento dei casi ed è legato alla rottura delle pareti di un’arteria che quindi perde sangue e va a comprimere il tessuto cerebrale. Tra le cause possono esserci un drastico aumento della pressione, che porta i vasi a rompersi, oppure la rottura di un aneurisma, cioè di una dilatazione patologica della parete arteriosa spesso nemmeno percepibili. Infine si possono verificare emorragie subaracnoidee, con il sangue che si accumula tra il cervello e il suo rivestimento esterno, spesso conseguenza della rottura di un aneurisma.