Opinioni

La politica italiana non va in vacanza

Tra pochi giorni la scadenza più importante: l’elezione del Presidente della Repubblica. Sette anni fa quando fu eletto Mattarella, c’era un Premier ( Matteo Renzi) che era anche il segretario del Pd, di una maggioranza politica e di un progetto molto ampio che mirava a riformare il sistema istituzionale e coinvolgeva molti settori dell’area moderata ; inizialmente ampiamente condivisa ma poi bocciata dal referendum popolare del dicembre 2016. C’era una tendenza che portava verso il centro che all’atto dell’elezione di Mattarella si materializzò. Oggi ci troviamo in una situazione diversa. A Palazzo Chigi è stato chiamato un tecnico, la maggioranza che lo sostiene non politica, il governo è espressione di una compagine di unità nazionale in cui c’è dentro di tutto. Se la scorsa volta la regia era palese, o quantomeno tale appariva, nell’attuale fase la situazione appare del tutto fluida, molto simile a quella che portò alla rielezione di Giorgio Napolitano. Ritornando all’elezione di Mattarella, riguardo al metodo adottato, esso nel periodo medio-lungo fu fatale al suo regista. Il passaggio delle elezioni presidenziali rappresentò un ostacolo insormontabile che portò al naufragio della riforma istituzionale promossa e si tirò dietro lo stesso governo ( Dimissioni di Renzi e nuovo governo guidato da Gentiloni) perché si pensò di eleggere il Capo dello Stato , senza coinvolgere tutte le forze che si erano rese disponibili alla riforma del sistema istituzionale. Questa volta però, partendo da una situazione diversa, non bisogna mancare l’appuntamento, per innescare una dinamica diametralmente opposta. In sintesi se sette anni fa, l’elezione al Colle determinò lo sfascio della riforma, oggi si potrebbe sfruttare questa occasione per cercare di mettere insieme una riforma del sistema e un progetto politico che la possa guidare. Non possiamo nasconderci che è la prima volta che l’elezione del Capo dello stato condiziona pesantemente la politica in tutti i suoi assetti. E’ su questo terreno, più che andare all’inutile ricerca di una leadership di qualcosa di inesistente, che dovrebbero concentrarsi gli attori di quell’area di centro che potrebbe trasformare il sistema italiano, razionalizzando il bicameralismo, rafforzare l’esecutivo e disciplinare in modo chiaro i rapporti tra lo Stato e le Regioni. Sul fronte politico bisognerebbe dar vita ad un opificio che apra un cantiere al centro, aperto anche ai moderati di sinistra e di destra, improntato al pragmatismo e alla cultura di governo che guida l’operato di Mario Draghi, che anziché puntare su inutili leadership, miri a creare una nuova classe dirigente preparata e che guardi al futuro delle prossime generazioni. Ossia uno spazio che non sia occupato dal Masaniello di turno che venga poi spodestato e cacciato via in malo modo, ma possa essere una fucina ampia, in grado di esercitare il suo ruolo a prescindere dalle contingenze e personalismi vari. Se sette anni fa partì dal Centro la miccia che distrusse un quadro esistente, oggi con Draghi non un’ipotesi da consolidare ma un’area da costruire . Una grande ‘Casa di Centro’ a sostegno di un Premier che guardi alla ripartenza e modernizzazione del Paese.