Politica

Quirinale tra fantapolitica e inverosimili piani su Mario Draghi

Molti di quelli che propongono Mario Draghi al Quirinale non si rendono conto del clamoroso pasticcio politico e istituzionale che essi stessi allestiscono intorno a questa ipotesi. A parte Giorgia Meloni, che vuole le urne, tutti gli altri ritengono che facendo traslocare Draghi da palazzo Chigi al Colle si renderebbe contestualmente necessario chiudere un accordo sul nuovo governo. Anzi, questo accordo è visto addirittura come condizione preliminare per eleggere l’attuale premier al Quirinale. Senza di esso, niente Draghi Capo dello Stato.

Si tratterebbe di una trattativa lampo sulla figura del nuovo presidente del Consiglio, sui ministri, sugli aggiustamenti di programma, sul Pnrr, sul caro-bollette (lo ha chiesto Enrico Letta), probabilmente su una nuova legge elettorale.

 E si pretenderebbe una discussione aperta immediatamente dopo il fallimento del tentativo di Silvio Berlusconi che secondo alcune previsioni non campate per aria dovrebbe avvenire il 27 o il 28 gennaio (alla quarta o quinta votazione).

Silvio Berlusconi non ha ancora ufficialmente sciolto la riserva sulla propria candidatura al Quirinale che la stessa è sul punto di essere affossata dagli alleati. Per i quali, la Lega di Salvini in particolare, la tenuta del governo con relativa possibilità di incidere sulla prossima legge elettorale è più importante del sostegno allo storico alleato. Il quale, dopo aver spronato Salvini e Meloni ad aiutarlo a trovare i voti invece che chiedergliene conto, rischia ora di trovarsi col cerino in mano. Le parole di Salvini che afferma che ‘la prossima settimana farò una proposta che credo possa essere convincente per tanti se non per tutti’,  rischiano infatti di essere la pietra tombale sui sogni presidenziali di Berlusconi.

Oltre alla tenuta del governo ed alla prossima legge elettorale, un peso specifico lo ha la volontà di essere il ‘king maker’ dell’elezione, cosa che regala una certa visibilità politica. E’ infatti ciò che sta tentando di fare Renzi – i cui nomi da mettere sul tavolo sono probabilmente quelli di Pierferdinando Casini e/o Giuliano Amato – ed è il ruolo cui ambisce anche Salvini. E allo stesso tempo, in caso di mancata elezione, anche Berlusconi vorrebbe tenersi il ruolo di decisore come piano B. In quel caso, Berlusconi vorrebbe quanto meno intestarsi il bis di Mattarella al Colle e la permanenza di Draghi a palazzo Chigi.

È fantapolitica pura considerando che sono anni che si discute su una nuova legge elettorale senza concludere nulla e adesso in quattro e quattr’otto dovrebbe compiersi il miracolo. Per dirne un’altra, con questi personaggi è davvero arduo immaginare un’intesa sul nome del prossimo capo del governo: ognuno porrebbe veti. Ma non basta. L’aspetto più grave sotto il profilo istituzionale è un altro: e cioè che per la prima volta nella storia d’Italia avremmo un Capo dello Stato immediatamente commissariato, un Presidente a cui subito verrebbe sottratto il potere forse più importante che la Costituzione gli assegna, cioè la nomina del presidente del Consiglio e, su proposta di questi, dei ministri, nonché l’implicita ma doverosa facoltà di essere informato e partecipare attivamente ancorché informalmente al programma di governo o meglio alla direzione politica che quest’ultimo vorrebbe imboccare.

Tutt’altra cosa è ipotizzare, come ci sembra voglia fare Matteo Salvini, una trattativa sul rafforzamento del governo Draghi. I partiti infatti potrebbero essere d’accordo nel decidere, assieme al presidente del Consiglio, come andare avanti col suo governo fino al 2023: il capo della Lega e quello di Italia Viva in questo sembrano in sintonia, anche mezzo  Pd, per non dire dei Cinque stelle sia di rito contiano che di rito dimaiano. Questo sì che è prerogativa dei partiti. Se sono seri.