Politica

Gas russo e embargo totale

Dopo gli orrori di Bucha, l’Europa cerca una risposta compatta e mette seriamente sul tavolo  l’ipotesi di un embargo totale al gas russo, così da colpire più duramente la Russia sotto il profilo economico. A chiedere “nuove devastanti sanzioni” al G7 è stato il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba, che vorrebbe appunto un “embargo su petrolio, gas e carbone“.

L’eventuale stop non farà ovviamente parte del nuovo pacchetto di sanzioni messo a punto nei giorni scorsi e in arrivo a breve, ma di “embargo” immediato si è tornati a parlarne, specie ora con Berlino che adesso apre. Sia chiaro, la strada resta in salita visto che l’Europa deve accuratamente evitare il rischio di un clamoroso autogol, seppur con l’intento di colpire Mosca. 

“Discuteremo da oggi com’è possibile irrigidire ulteriormente le sanzioni”, dice alla vigilia dell’Ecofin il ministro dell’Economia tedesco Christian Lindner, in asse con il cancelliere Olaf Scholz e la ministra degli Esteri Annalena Baerbock. La titolare della Difesa si spinge oltre, ipotizzando la chiusura dei rubinetti del gas cui finora Berlino ha opposto un fermo “no”. Ma già in queste ore arrivata la frenata con toni decisamente più cauti.

La mossa di Berlino potrebbe seriamente “inguaiare” l’Italia che fino ad oggi si è fatta scudo del “no” tedesco all’embargo. Sul blocco al gas, Roma resta prudente ma si segnala qualche passo avanti.  “L’Italia non mette alcun veto” sulle sanzioni, dice più in generale il ministro degli Esteri Di Maio, e sul gas il governo lavora per “liberarsi dai ricatti russi”. 

Tanto più che nella maggioranza cresce il fronte dei favorevoli all’embargo. “Quante altre Bucha dovremo vedere prima di deciderci a imporre un embargo totale su gas e petrolio russi? Il tempo è scaduto”. Lo ha scritto su Twitter, in inglese, il segretario del Pd Enrico Letta riferendosi alla strage di civili nella città di Bucha.

Il nostro Paese sarebbe in grado  di sostenere una misura così drastica? “I primi mesi non sarebbero critici, perché abbiamo riserve non grandissime ma sufficienti ad affrontare i prossimi mesi, anche con la prossima stagione in arrivo” ha detto Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, ai microfoni di 24 Mattino su Radio24, rispetto all’ipotesi della sospensione delle importazioni di gas dalla Russia. “Dovremmo essere molto bravi ad accelerare invece gli stoccaggi, cioè la preparazione delle riserve per l’inverno ’22-’23”, ha aggiunto Cingolani.

Anche il Ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, in una intervista al quotidiano La Stampa, parlando di un embargo totale del gas russo l’ha definita una strada “percorribile, perchè entriamo in una stagione in cui viene usato meno gas e perchè stiamo affrontando bene la diversificazione dei nostri approvvigionamenti. I Paesi europei però devono aiutarsi a vicenda, agevolando chi ha un maggior danno dalle sanzioni o dall’embargo”.

Lo spettro dell’emergenza è sempre più reale. L’obbligo di pagamento del gas russo in rubli preoccupa il Governo, che mette a punto un piano di allarme.

L’entrata in vigore del decreto firmato da Vladimir Putin, che impone ai “Paesi ostili” il pagamento del gas russo in rubli, ha fatto scattare l’allarme forniture in molti Paesi. Tra questi, l’Italia è in prima linea. Il 43% del gas che importiamo proviene infatti dalla Russia. L’intento del Governo è di scacciare lo spettro del blocco degli approvvigionamenti, e per farlo avrebbe preparato un “piano di emergenza”.

Si tratta di un programma in tre fasi che viene revisionato e valutato costantemente da un gruppo di esperti. Le ultime decisioni del Cremlino, però, rischiano di far scattare il passaggio alla fase d’allarme successiva. E, dall’altro lato della barricata, impone a Putin di evitare l’effetto boomerang nei confronti delle casse russe.

Come riporta il Corriere della Sera, il 26 febbraio l’amministrazione Draghi ha attivato lo “stato di preallarme” relativo alla crisi energetica. Si tratta del primo di tre step di pericolosità crescente previsti dal cosiddetto Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale. Al momento l’Italia si troverebbe, per l’appunto, in preallarme (“early warning”). Se però le cose dovessero peggiorare, seguirebbe la fase di allarme vero e proprio (“warning”) e, ancora oltre, l’ultimo gradino di piena emergenza (“emergency”).

Finora lo stato di preallarme non ha avuto alcun effetto sulla quotidianità dei cittadini e delle imprese per quanto riguarda l’energia. La principale caratteristica dell’”early warning” è che il settore del gas (trasporto, distribuzione, stoccaggi, vendita) continui a operare a condizioni di mercato, seppur in allerta.  

Le possibili contromisure, in caso di complicanze, prevedono un aumento delle importazioni di gas, la riduzione di domanda interna di gas attraverso lo stop dei contratti “interrompibili” di natura commerciale e l’utilizzo di combustibili alternativi negli impianti industriali.

Nel caso in cui l’emergenza si aggravi, il sistema prevede il passaggio da preallarme ad allarme. La fase 2 scatta infatti con l’interruzione o la riduzione degli approvvigionamenti di gas e consente al ministero dello Sviluppo Economico di chiedere a Snam di ridurre le forniture destinate agli operatori di energia. Uno scenario critico che però si è imposto all’orizzonte dopo il diktat di Putin sul pagamento in rubli. Le contromisure ripercorrono le linee guida dello step precedente, dall’aumento delle importazioni all’uso di combustibili alternativi nelle industrie.

E arriviamo al temuto terzo step. L’emergenza scatta in caso di “un’alterazione significativa dell’approvvigionamento o interruzione delle forniture”. Uno scenario estremo, dove le condizioni di mercato sono sospese e il governo è libero di adottare misure più drastiche.

Tra queste spiccano il tetto all’utilizzo di gas per produrre energia elettrica che non sia destinata alla domanda interna, l’introduzione di soglie massime di temperatura per il riscaldamento in casa, il ricorso agli stoccaggi strategici e la richiesta di intervento di altri Paesi Ue. 

Occorre però precisare che il Governo ha per il momento smentito una discussione su questo tema all’ordine del giorno.

Al centro della questione c’è l’ordine imposto da Putin a Gazprom e Banca centrale russa di studiare il modo per far pagare in rubli il gas venduto alle controparti occidentali. L’intento di Mosca è chiaro: aggirare le sanzioni imposte dall’Unione europea. La guerra in Ucraina ha però rivelato che nel mondo non ci sono soltanto Paesi ostili alla Russia. Tra questi molti sono acquirenti di gas russo, forti di contratti con termini e condizioni che prevedono pagamenti esclusivamente in euro o in dollari.

La mossa di Putin si rivelerebbe in poco tempo uno spiacevole boomerang economico. Da una parte i Paesi europei si troverebbero senza gas, ma dall’altra la Russia rinuncerebbe agli ingenti incassi garantiti dalla vendita di metano. Il presidente russo avrebbe però elaborato – anch’egli – un piano per evitare questo cortocircuito.

Tramite un decreto, il Cremlino imporrebbe una via alternativa che non altera i termini dei contratti. I grandi operatori occidentali, ad esempio Eni e Total, continuerebbero a inoltrare i loro pagamenti in euro o dollari alla banca russa Gazprombank. Quest’ultima provvederebbe a cambiare la valuta in rubli. 

Intanto, il ministero della Difesa russo respinge le accuse stando alle quali  le truppe russe hanno ucciso civili durante l’occupazione di Bucha,  cittadina della regione di Kiev, affermando che le foto e i video dei civili morti sono una provocazione, una messa in scena a beneficio dei media occidentali, allo stesso modo delle immagini del bombardamento del reparto maternità dell’ospedale di Mariupol.

Il ministero ha affermato che nel periodo in cui la cittadina è stata occupata dalle forze russe  nessun civile ha subito violenze, che i residenti erano liberi di lasciare la città dirigendosi a nord, anche verso la Bielorussia, e che i quartieri a sud della cittadina, anche residenziali, sono stati sottoposti a bombardamenti pesanti da parte delle forze ucraine. La Difesa russa aggiunge che i militari russi hanno lasciato la cittadina il 30 marzo, ma le immagini dei civili uccisi sono emerse solo quattro giorni dopo, dopo l’arrivo delle truppe e dei media ucraini.