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Ma Mario Draghi è un premier davvero libero? Quelle strane decisioni sui francesi. Il punto di Luigi Bisignani

E’ questa la domanda che Luigi Bisignani, in un articolo pubblicato oggi sul quotidiano Il Tempo, analizza nel ‘commentare’ l’ultimo libro scritto da Paolo Cirino Pomicino. E la risposta, o meglio, le risposte sono tutte da leggere.

Caro direttore, fino a che punto Draghi è davvero un uomo «libero» nelle sue scelte come lo furono, ad esempio, De Gasperi e Fanfani? È la domanda delle domande, contenuta nell’ultimo libro di Paolo Cirino Pomicino dall’intrigante titolo: «Il grande inganno – controstoria della Seconda Repubblica in libreria dal 28 aprile. E, quando l’interrogativo se lo pone «o ministro» che da titolare del Bilancio ha contribuito all’ascesa del Premier, avendo facilitato, nel 1990, il suo primo incarico di DG del Tesoro, anche agli altri, legittimamente, qualche dubbio sale, specialmente ora, dopo le recenti nomine pubbliche che lasciano sconcertati. Entrambi nati il 3 settembre, sotto il segno della Vergine, simili per concretezza, razionalità e tenacia, Pomicino non fa sconti al Premier, pur riconoscendogli grande autorevolezza internazionale e considerandolo una «vera benedizione», dopo il disastro di Giuseppe Conte «un signor nessuno con qualche debolezza narcisistica». Gli rammenta il suo sfortunato passaggio in Goldman Sachs, la banca d’affari che «truccò» i bilanci della Grecia per consentirle l’ingresso nell’euro.

Tuttavia il vulnus più discutibile è l’appoggio dato ai francesi per la vendita della Bnl, la banca del Tesoro. Ma Pomicino spazia, e si pone un’ulteriore perfida domanda ancora oggi, senza risposta: «Il Partito Democratico potrà, prima o poi, spiegare perché bocciò la cordata italiana e perché Bnl venne data ai francesi. Qualcuno fu ‘pagato’ anche solo in termini culturali, per quella scelta? » E non è certo un caso, dice Pomicino, se nella Seconda Repubblica ci fu un accordo tra Parigi e Bonn per permettere alla Francia di «scendere in massa» in Italia. «Il capitalismo francese ha acquisito la Edison diventando il secondo produttore elettrico dopo l’Enel, poi entrò con Credit Agricole nel capitale di Banca Intesa per uscirne poco dopo portandosi in dote Cariparma», così come ha acquisito l’intero settore del «lusso». Di contro, l’Italia ha ricevuto solo porte in faccia quando, attraverso la coraggiosa azione di Fincantieri, attraverso Giuseppe Bono, non a caso rimosso nei giorni scorsi in maniera sfrontata dalla strana coppia Draghi-Giavazzi (quest’ ultimo novello «Cencelli fai da te», copyright Pomicino) non è riuscita ad acquisire, dopo l’alzata di muri dell’Eliseo, i cantieri navali di Saint-Nazaire. «La colonia italiana, secondo Pomicino, può solo vendere, mai acquistare». L’ex ministro scrive anche del nostro colossale debito pubblico (che potrebbe essere messo sotto controllo con alcuni strumenti mirati operando sugli immobili di Stato o sottoscrivendo un vero accordo con la cosiddetta ricchezza nazionale) aprendo uno squarcio inquietante su alcune «saghe» degli ultimi vent’anni, a cominciare dalle inchieste sulla mafia.

La conclusione è scioccante: quale partito ha avallato l’operazione di quei magistrati, super poliziotti e mafiosi conclamati che sembrano saliti sulla stessa barca per mettere sotto scacco quella parte della Dc che non era stata annichilita da Tangentopoli? Tre circostanze da evidenziare: 1) Il Pci votò contro l’aumento dei termini di custodia cautelare per gli imputati di mafia disposto dal decreto Andreotti-Vassalli. 2 ) Il Pci votò contro l’istituzione della Commissione Antimafia e attaccò continuamente Giovanni Falcone. 3 ) Il Pci votò contro il carcere duro ai mafiosi. «Noi – ribadisce Pomicino – non abbiamo mai detto che il Pci fosse sensibile agli interessi mafiosi… ma ci sono molti indizi… Indizi dello stesso valore non ci sono stati a carico della Dc». Ma un uomo, secondo «o ministro», è forse in grado di rispondere oggi alle molte domande, è Gianni di Gennaro, passato, in quegli anni, dalla Direzione Centrale Anticrimine a Capo della Polizia e sempre sulla breccia, il quale dovrebbe conoscere ciò che stava accadendo ed è accaduto dal 1990 in poi, nessuno ha mai avuto interesse a sentirlo. Magari si è ancora in tempo. Pomicino ricorda nitidamente che: «Fu Andreotti a dirmi che fu proprio De Gennaro ad informarlo dell’avviso di garanzia per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa».

Il libro è anche impreziosito dalla prefazione di un principe del giornalismo, Ferruccio de Bortoli, che si sofferma ovviamente sull’autore, lodando «la sua esperienza e anche quell’arguzia tutta partenopea che fa della pratica quotidiana quasi una filosofia di vita», ma anche sul flop del Premier nella corsa al Colle. «Se Draghi avesse avuto un po’ di sottigliezza, o se vogliamo di scaltrezza Dc, non si sarebbe mai candidato o semi candidato al Quirinale», né avrebbe potuto pensare che a succedergli potesse essere un altro tecnico, Vittorio Colao o Daniele Franco. Ma de Bortoli e Pomicino divergono sui cosiddetti «poteri forti» che, secondo l’ex direttore del Corriere della Sera, non l’hanno mai convinto. Viene da chiedersi: non sono stati proprio i «poteri forti», Bazoli e Mediobanca in testa, a nominare de Bortoli per due volte direttore del Corriere? Anche questa volta «o ministro», ha ragione.